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Posts written by regulus.

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    Waltz in D minor
    CAPITOLO 1



    Prese un fucile e lo osservò attentamente. Cercò con molta fretta il grilletto ma la sua ignoranza nell’ambito non fece che peggiorare le cose: doveva prendere qualcosa di meno manuale, meno difficoltoso da destreggiare e più facile da nascondere. Certo, un coltellino o un pugnale sarebbero stati perfetti.
    Ma in quel vecchio ammasso di legno non vedeva armi del genere. Si fece strada allo sguardo creando una specie di fossa tra pistole, fucili e paletti di legno e proprio in fondo a questi trovò un bel pugnale placcato del colore dell’oro, manico in fasce di cuoio ben strette e sotto di esso, al punto di fusione della lama dalla punta rotta, erano incastonate quattro gemme: acquamarina, adularia, tanzanite e lapislazzulo. Sembravano quasi brillare, anche se la luce nella zona notte della casa nel bel mezzo della campagna era sempre poca in ogni momenti della giornata.
    Toccò la lama dalla parte liscia e sentì la notevole freddezza del ferro: sembrava non essere usato da parecchio tempo.
    Kama aprì una delle due tasche, molto capienti, del suo giacchino e infilò il pugnale.
    Chiuse l’enorme baule cercando di fare meno rumore possibile; era tutto pronto.
    Ma la ragazza con i fiocchi azzurri sentiva che mancava ancora qualcosa.
    Raggiunse la sua stanza nuovamente e si guardò in giro. Afferrò la sua macchina fotografica e la osservò da ogni suo lato, dopo qualche secondo allargò il nastro attaccato ad essa da un incastro e la mise al collo. Ricominciò a dare un’occhiata anche agli angoli polverosi della camera.
    Si ricordò della cornamusa e il suo Flauto di Pan: se ne stava per dimenticare.
    Li mise entrambi nella borsa. O meglio, provò a metterli entrambi nella borsa, ma la cornamusa era davvero troppo grande. Così pensò bene di procurarsi uno zaino bello grande e mettercela di dentro senza rompere nulla.
    Aveva preparato tutto, ora: non mancava davvero niente.
    L’unico e ultimo problema era la porta: avrebbe fatto troppo rumore se fosse uscita da lì. Quindi trovò la semplice soluzione di scappare dall’uscita interna che passava dai sotterranei, dove era stata raccolta tutta la storia della sua famiglia, e che portava di nuovo alla luce del sole. Conosceva bene quel luogo in ogni sua stranezza o mistero, c’era stata parecchie volte col padre quando aveva dieci anni e lui stesso le spiegò cosa era presente in quel sotterraneo.
    Perciò si diresse velocemente verso lo studio di suo padre e sollevò il tappeto che nascondeva l’ampia botola, ovvero l’accesso a questo “passaggio segreto”.
    Con la sua forza, non umana forse, prendendola con entrambe le mani, alzò il “tappo” di legno e intravide una fiaccola ancora accesa.
    Scese la lunghissima scalinata di pietre e finalmente si trovò davanti all’immenso patrimonio familiare. Decise di scattare una foto a tutto ciò che le sembrava particolare e che non ha potuto osservare negli anni per studiarseli con calma e con precisione.
    Però doveva assolutamente prendere uno scrigno, appartenente agli antenati dell’800.
    Era riposto su uno scaffale in mezzo a tanti libroni e scartoffie fasulle: dipinto a mano con della tempera resistente su vetro, conteneva una miniatura di un flauto traverso e di uno shimasen.
    Se lo si apriva si potevano ascoltare tante melodie diverse, casuali.
    Una caratteristica di questo particolare carillon era che se gli strumenti suonavano la canzone non la ripetevano più.
    E dato che avrebbe voluto conservare qualche ricordo della sua dinastia afferrò tre libroni posti sulla scrivania di legno scuro posta proprio davanti agli immensi scaffali stracolmi di testimonianze, romanzi e addirittura biografie, icone e tanto altro.
    In quelle quattro mura a metri e metri sottoterra si cominciava a percepire la mancanza di aria pura, perciò decise di abbandonare una volta per tutte l’abitazione.

    La brezza estiva era dolce e piacevole, ma sempre e comunque calda. Kama sgattaiolò fuori e chiuse il “tombino” del passaggio segreto. Fissò un attimo la sua povera abitazione di pietre verniciate di bianco che fuoriuscivano e rientravano in asse in modo irregolare.
    Sospirò sollevata.
    «Addio»
    Caricata di tante borse, fece alcuni passi avanti per la strada di terra battuta simile a quella dei campi di tennis. Raggiunse la bottega, ovviamente chiusa, della sua adorata zia: da lì poteva vedere con chiarezza le macerie di un vecchio villaggio abbandonato, dove una volta viveva e le vennero in mente dei ricordi, che le si ponevano davanti agli occhi come se fossero accaduti in quel momento.
    Vedeva perfettamente le strade della piccola cittadina campagnola, erbetta giallognola e grano dorato nei primi giorni di giugno. Kama era solita ad uscire a giocare nel campo assieme ad un altro bambino di dieci annetti circa. Era una bella giornata: il sole cocente irraggiava luce da ogni parte e il mercato era come al solito ricco e allegro, piena di gente del luogo e straniera.
    A quel tempo aveva un solo amico, di nome Edgar. Le piaceva molto la sua compagnia, e questa affinità era reciproca: tutto il pomeriggio stavano in una specie di casetta sull’albero fatta di legno di ciliegio, adornata con cuscini morbidi di colore bordeaux e seggiole riunite intorno a un tavolo. Le sedioline erano tre, perché tre erano le persone che ci “vivevano”. Inizialmente erano due ma si aggiunse un posto a tavola quando Edgar fece fare amicizia a lei e a una sua conoscenza.
    «Oh, è Kimi!» esclamò febbricitante.
    Kimi era il nome con cui si denominava Kama all’epoca e le piaceva un sacco, specialmente se quel nomignolo veniva pronunciato dal migliore amico.
    «Su! Sali, ti voglio far conoscere un mio amichetto!»
    Ella, che non aveva poco più di sette anni, si diede da fare per salire l’ultimo gradino della scala di legno, legata con corde resistenti e fissata con qualche spillo che in quel contesto non era proprio utile.
    Appena spolveratasi il vestitino blu che indossava sempre, vide danti a sé (seduto su un’altra sedia, quella e fronteggiava la porticina) un bambino con gli occhi chiari di colore azzurro mischiato al grigio, dei capelli biondissimi dalle punte platino e dei vestiti eleganti blu tendente al verde.
    “Chi sarà mai?” pensò “Non è forse il principe azzurro?”
    «Ecco, ti presento Shuu!»
    Kama fece un piccolo sorriso, ma non disse niente.
    «Shuu, lei è Kimi!»
    Il bimbo osservò attentamente l’altra che gli stava di fronte, che a sua volta lo fissava incredula. Edgar non capiva che c’era molta tensione tra i due conoscenti e perciò fece una faccia stupita.
    «Che c’è? Perché vi guardate in quel modo?»
    Nessuno dei due voleva cominciare a parlare, e stettero lì, cinque minuti pieni, a fissarsi.
    Shuu andava cercando il braccino del piccolo agricoltore, per poi tirarselo, nascondendo un po’ quelle ciocche bionde.
    «Shuu! Kimi non è quello che pensi! È una brava bambina, è più piccola di noi dopotutto …»
    Come se fosse bastato a farlo aprire.
    «Dai! Almeno dite un ‘ciao’, no?»
    «C-ciao, Shuu …»
    L’altro non voleva parlare, assolutamente. Per far ragionare quel ragazzino cocciuto ci vollero ben due ore. Però, col passare dei giorni, i due iniziarono a conoscersi di più e a diventare inseparabili.
    Quei ricordi le facevano tornare alla mente anche le cose brutte, però.
    Le loro madri si riunivano segretamente per parlare del più e del meno e nessuno dei due conosceva questo fatto. O meglio, Kama lo venne a scoprire recandosi con la genitrice in quel grandissimo castello non molto lontano dalla casa di allora.
    Conobbe molti altri bambini, cinque, per la precisione. Camilla, sua madre, conosceva le altre tre donne che convivevano in tutto quel lusso con i loro figli. La prima che conobbe fu una donna bionda, con un abito rosso ricamato con del filo nero. Era molto simile a Shuu, difatti scoprì che lei lo mise al mondo. Se ne accorse dalla presenza fisica del suo amico.
    Aveva avuto il permesso di entrambe le donne a gironzolare per la villa, e dato che la bambina non è che era così curiosa di vederla, non si posero neanche quel problema.
    Quando fece la prima visita alla Mansione Sakamaki aveva nove anni, ed era una ragazzetta scontrosa, prepotente e arrogante.
    La prima persona che incontrò fu l’ennesima donna alta, slanciata, con dei lunghissimi capelli viola e con un abito nero più scuro della morte. Aveva gli occhi verdi e un sorriso beffardo in volto, che sembrò mutare alla vista di Kama.
    «Mm? Che ci fa questa bella bimba a gironzolare per il cortile? Qual è il tuo nome?»
    «Kimi» rispose fredda.
    «Ma che nome carino … Tu ce l’hai una madre, sì?» continuò la signora, con falso tono calmo.
    « … è quella laggiù».
    Indicò Camilla ed ella rimase incredula.
    «Oh … Non sapevo che Camilla avesse una figlia … Non me ne ha parlato mai, ma adesso, la cosa più importante è … Perché sta parlando con Beatrix?»
    Le sue parole erano sussurrate, davano l’aspetto di pensieri espressi a voce bassa.
    Ma quello poco importava.
    Dopo intravide da lontano una figura di un altro bambino, capelli corvini e abiti nobili dello stesso colore. Se la vista non la ingannava, portava degli occhiali senza montatura o, se ce l’aveva, era presente solo nella parte inferiore delle due lenti. Leggeva un libro alquanto grande.
    Ella gli si avvicinò incuriosita.
    Proprio mentre intendeva sporgersi un po’ di più per vedere ogni singola parola della pagina da lui letta, ecco che si gira verso di lei, mostrandole i suoi occhi scarlatti tendenti al fucsia.
    «Eh? Chi sei tu?»
    Kama non sapeva cosa rispondere.
    «Che c’è? Non sai parlare? Allora vattene. Non serve la tua compagnia»
    «No,» rispose «stavo per farti la stessa domanda …»
    «Be’, questa è casa mia, perciò le domande le faccio io e tu hai il dovere di rispondermi» affermò irritato.
    Solo che quella irritata adesso era lei.
    «Signorino saputello, se davvero pensi di essere educato non lo sei, ecco!»
    Il tipetto ridacchiò con sarcasmo.
    «E che ne puoi sapere tu, bambinetta?»
    «Ho fatto male a venire qui» constatò Kama «Già dopo un minuto siamo cane e gatto!»
    Detto questo, se ne andò via da un’altra parte.
    “Va’ …” pensò divertito “E non tornare … Mai più”

    Edited by ´Dansk - 9/10/2014, 14:40
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    Non partecipo.

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    Partecipo.

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    Up
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    Visto.

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    Visto.

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    Richiesta. ^u^

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    Visto, grazie!

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    Non partecipo.

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    Nessun problema, nessun problema! :D
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    @ANÆMIA, non hai inserito il tesserino in firma. Senza di questo non posso aggiungerti.
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    Dato che nessuno ha più ritirato i premi, chiudo ufficialmente!

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    Glielo dirò, grazie mille. Hai messo il bannerino da qualche parte? xD
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    Partecipo.

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    Non partecipo.

291 replies since 22/3/2013
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